Ti ricordi che caldo maledetto c’era ad inizio agosto? Quei giorni cercavo di rimandare tutti gli appuntamenti nelle ore centrali, o su Skype, stavo rintanato in casa a deumidificarmi, ma non ho potuto rimandare tutto.

Un giorno incandescente di quelli fui invitato ad un appuntamento speciale, a mezzogiorno. Una specie di riunione di lavoro, ma aveva luogo in un cinema, senza aria condizionata. Era la visione privata su grande schermo della versione quasi definitiva di un film per il quale stavo curando la grafica dei titoli di testa e di coda. Un piccolo lavoro il mio paragonato alle fatiche che lo staff aveva attraversato per arrivare a quel ‘prototipo realistico’.

Partecipavano alla proiezione molte delle figure chiave della produzione, la regista, i produttori, il montatore, il direttore della fotografia, gli addetti al suono, e così pure il piccolo grafico.

Ero lì per controllare che la dimensione in cui avevo impaginato (si può dire impaginato per uno schermo cinematografico?) i testi fosse leggibile su grande schermo e che il sapore grafico del font fosse giusto dal primo frame all’ultimo.

Il primo momento di suspence è stato aspettare che il proiezionista, nella sua rovente cabina, scaricasse il mega file del film, appena caricato su wetransfer dal montatore. Lo stato d’animo era tipo stanza della NASA durante l’agognato decollo. Ce la fa? Manca aria. I want to believe. Reattore pronto. 3, 2, 1. Download completato! Tutti che saltano e si abbracciano.

Inizia la proiezione, schermo nero, qualche logo (Biennale College! Ministero!) e subito le prime immagini. So che potresti già saperlo, ma io l’ho realizzato solo lavorando con questi ragazzi, che spesso i film, se ci fai caso, iniziano con tre, quattro, cinque minuti di girato che pensi «mi sono perso qualcosa? Non lo scrivono il titolo?» ed proprio in quel momento che compaiano i veri crediti, la regia, il titolone del film (Mamma! Guarda!). Ma torniamo a quel giorno.

Una sala cinematografica già di per sé è un posto magico, ma vederne una vuota, tutta per te, è una sensazione particolare. Come pure l’essere in un cinema ‘per lavoro’ in orario lavorativo, o l’avere inserito un pizzico di te in una grande storia raccontata a duecento voci.

Durante la proiezione, non la più tranquilla devo ammettere, tutto lo staff parlava, si alzava, annuiva, ma è tutto ok, perché è una proiezione di lavoro! La regista dice al suono che qui ‘manca ambiente’, la regista dice al montatore ‘qui stacca troppo presto’, la produttrice che dice al grafico ‘Eppur si legge!’.

Altra particolarità di una proiezione di lavoro è che tutti restano seduti fino all’ultimo testo dei titoli di coda. Qui è capitato un episodio divertente, il film finisce, il protezionista accende le luci in sala appena iniziano i titoli di coda. URLA FEROCI DALLA SALA! Eravamo lì per controllare anche i titoli di coda. Ah e dimenticavo, è bello anche leggere il tuo nome nei titoli di coda (Mamma! Dove sei andata! Guarda!).

Il film si chiama Zen sul ghiaccio sottile, regia di Margherita Ferri, prodotto da Articolture ed è appena stato presentato niente meno che alla Mostra del Cinema di Venezia, nella selezione ufficiale Biennale College Cinema.

Di cosa parla? Sono una frana con le sinossi, ma posso usare le parole della regista: «è una storia di formazione, che segue il percorso emotivo di Maia, detta Zen: un’adolescente in cerca della propria identità di genere, per questo incompresa e bullizzata dai propri coetanei». Aggiungo che è ambientato nel bellissimo Appennino modenese.

Sulla pagina ufficiale del film trovi tutte le info, foto del red carpet, foto del work in progress, tutto. E quando arriverà in sala andiamo tutti a vederlo, perché è davvero bello. Le hanno anche intervistate ad Hollywood party, su Radio 3 (Ascolta la puntata, dal minuto 28 in poi)!

Viva il cinema indipendente, ma viva anche chi mi fa fare i titoli!

Ma veniamo all’elenco numerato più birichino del web:

  1. Sì lo so che lo sai, ma ci tengo a raccontartelo lo stesso: sto continuando a lavorare al nuovo emmaboshi.net. Sono non so quanti mesi, sono esausto, ma avrà un nuovo look pazzesco e una struttura dei contenuti migliorata ai contenuti. Nel blog inizierò a postare anche semplici link ad articoli e risorse online interessanti design related, come fanno i maestri Jeremy Keith e Brad Frost. Naturalmente i link più piccanti li conserverò per il Bollettino, che rimangano fra me e te. Ora ho congelato il look grafico e l’ho passato al prode Decarola di modo che ha sviluppato emmaboshi.net dal lontano 2010, quindi lo conosce bene. Spero che faccia il miracolo.
  2. Ho scoperto David Thorne, un genio del trolling intelligente, mi verrebbe da dire. Scopri cosa intendo leggendo una qualsiasi delle sue storie che sono spesso scambi di email surreali. Tra l’altro, notare i dettagli, se clicchi sul bottone «I’m sad about something» sul suo sito (già il fatto che ci sia un bottone del genere), si apre questa pagina, e torna il buonumore. Oppure clicchi su «Complain about this page» e si apre questa.
  3. Su The Shit List si raccolgono post di gente che non è stata pagata per un lavoro.
  4. Guardare Charles Schulz che disegna i Peanuts è stupendo.
  5. La National Gallery è uno dei miei posti del cuore, e oltre ad avere una collezione pazzesca di opere sono anche bravi a comunicare sull’interweb. Hanno un curatissimo canale Youtube. Nella serie Cleaning Artemisia’s ‘Self Portrait’ ad esempio mostrano il processo di restauro di un dipinto di Artemisia Gentileschi. Ho apprezzato anche l’intervista al loro responsabile cornici: Behind the scenes at the Framing Department
  6. Ho scoperto che il Newyorker ha iniziato una serie di video in cui dei comici di livello inventano didascalie dal vivo per le loro insuperabili vignette. Quelle didascalie sono capolavori che non so come riescano a creare, farle in diretta davanti ad una telecamera per me è magia pura. Guarda ad esempio Nick Kroll.
  7. Rocco Tanica, maestro di creatività umoristica, dopo avere sciolto una delle mie band preferite, sta iniziando a scrivere dei racconti molto belli e me li sto divorando tutti. Si trovano sul suo profilo Medium, nickname? Gigicoldiretti. LOL.
  8. Questa campagna di Burrow, una nuova azienda che produce divani, è minimale e punk allo stesso tempo. Ti dico che il loro payoff o claim o come vogliamo chiamarlo è «Good for nothing». Guardala su Sofa Startup Burrow Knows You Would Rather Be Doing Absolutely Nothing Right Now.

Iniziamo?

Parliamo del tuo prossimo progetto, non vedo l'ora di iniziare.

Scrivimi