Appropriazione. Debita o indebita che sia, la tendenza degli ultimi tempi sta nella (ri)appropriazione del concetto di dandysmo in più settori della vita civile. In primo luogo, è la moda a dettare legge. Nel numero di Vogue Uomo di luglio, un’intera sezione confonde lo stile dandy con una eleganza affettata e appariscente. Alla rivista fa eco Vanity Fair, che preconizza l’evoluzione dei costumi (nel duplice senso di abiti e abitudini, in una parola: habitus) sottoponendo all’attenzione del lettore un bellimbusto in pantaloni fluo e cardigan striminzito. Ora, a tutto c’è un limite. Lo aveva già indicato Claudio Magris sul Corriere della Sera lo scorso giugno, quando aveva paragonato alcuni ministri della Lega Nord, rei di avere disertato la Festa della Repubblica, proprio a Lord Brummell. Ora, come mi pare evidente, l’eleganza non c’entra nel qualificare lo spirito del dandy. C’entrano soprattutto i modi, il volere o il non voler farsi notare, come Michele Apicella - Nanni Moretti in Ecce Bombo. E come ricorda Giuseppe Scaraffia, due sono le principali tendenze: quella wildiana, più appariscente e quella baudeleriana, più sobria, che afferma la propria eleganza nella capacità di passare inosservati. Beh, l’ultimo gesto del Ministro Bossi sembra effettivamente sancire (se di dandysmo si parla!) il passaggio dalla seconda alla prima tendenza, più colorita che colorata. Ma tant’è. Il punto è forse un altro. Come mosche impazzite, parlamentari di maggioranza e opposizione si affannano a condannare il gesto, nell’esplicito intento di affermare il loro senso dello Stato e delle Istituzioni. Decostruzione o simulacro?

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