Contrariamente a quanto affermano i critici chiusi nel recinto confortevole della specializzazione, il sistema tonale gode sempre di ottima salute né manifesta alcuna volontà di estinguersi.

Mentre la modernità dichiarava esaurito il compito dell'armonia tradizionale e l'avvenuto decesso del sistema tonale, il ventesimo secolo ha invece registrato un'immane produzione di musica tonalmente corretta, in forme e generi incuranti prima delle rivelazioni di Schönberg e poi dei diktat della scuola di Darmstadt: canzoni, operette, opere liriche, musica da camera, musica da ballo e di consumo, rock'n'roll fino all'unico prodotto realmente nuovo del novecento musicale, la musica Jazz.

Non ha molto senso quindi continuare a discutere, soprattutto in Europa, se la musica sia morta, se il linguaggio della musica sia esaurito ecc. perché questo è un problema che riguarda esclusivamente una parte della musica alta, colta ed accademica che continua a negare il diritto all'esistenza delle altre musiche ad essa coeve.

Il consumo e la ricezione della musica, negli ultimi cento anni, ha indicato chiaramente come la quasi totalità della domanda sia rivolta a prodotti (tonali) di intrattenimento, di consumo e, non lo si dimentichi, a musica leggera d'arte. Questa definizione è solo in apparenza paradossale perché, nell'ambito di ciascuno dei mille generi in cui si è espressa la musica dell'Occidente nel secolo passato, esistono tanti capolavori. Non è rilevante chiedersi quante di queste composizioni passeranno alla storia perché lo stesso discorso riguarda i lavori di molti autori togati oggi sulla cresta dell'onda.

La realtà è che nel '900 la cultura occidentale ha prodotto una quantità immensa di musiche e che il sistema predominante, pur con innovazioni ed aggiustamenti, è stato quello tonale e tradizionale.

Questa ovvia constatazione dello stato delle cose sottolinea l'atteggiamento di fatto post moderno degli storici e dei critici musicali più che dei musicisti post qualcosa.

Quegli stessi critici che disprezzano ogni musica che non sia colta e accademica e al tempo stesso dichiarano morto l'oggetto dei loro studi e, forse, della loro passione. Necrofilia critica? Dopo Puccini... Dopo Wagner... Dopo... e sempre fissando dei paletti, delle colonne d'Ercole, dei divieti a proprio uso e consumo. Ed ancora: a che ed a chi serve confrontare la musica del II dopoguerra solo ed esclusivamente con la II Scuola di Vienna, quando lo stesso Schönberg aveva suonato nei Kabarett? E perché rapportare la musica neo classica solo alle musiche barocche e classiche, come se questi fenomeni non fossero nati un'epoca densa di simultanei cambiamenti e rivoluzioni, abilmente intrecciati in una matassa storica e culturale che ancora non riusciamo bene a districare?

L'ilarità suscitata nell'uomo massa dai prodotti linguisticamente più avanzati delle arti figurative e della musica del ventesimo secolo è il prezzo da pagare per la totale indifferenza che la musica colta ha nutrito nei confronti del pubblico e delle altre musiche coesistenti, pur avendole spesso saccheggiate quando necessario.

Lo scollamento fra musica colta e musica non colta o, meglio, la creazione di due pubblici diversi che vivono nello stesso mondo e nella stessa epoca ma hanno evidentemente idee diverse sulla bellezza e sull'arte, è attualmente insanabile.

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