I

"Il Bello conduce al Vero. Il Vero è ciò che ci unisce.

Molti troveranno nel nostro lavoro un unico senso di bellezza. Ma guai al mondo se esistesse una sola idea di Bellezza".

All’incirca questo diceva Sergiu Celibidache (1912-1996) ai Berliner Philarmoniker durante le prove della Settima Sinfonia di Bruckner. Il Maestro ritornava a dirigere a Berlino, che aveva abbandonato più di trent’anni prima per lasciare il podio della filarmonica a Karajan.

Se esistesse un solo modello di Bellezza questa come potrebbe salvare il mondo (o uno dei mondi possibili)?

Il nostro Tempo sembra volersi attenere ad un modello unico e più o meno condiviso di Bellezza, ma questo Tempo muterà e in un modo o nell’altro cambierà. Il Bello continuerà ad essere il viatico per il Vero che unisce non solo i musicisti di un’orchestra, ma tutti noi nel rapporto con la realtà e con la verità, che è sempre visibile a chi vuole scrutarla.

II

Daniel Barenboim ha recentemente affermato, in una incredibile trasmissione televisiva italiana, che in realtà la Musica non ha bisogno di un pubblico, ma è il pubblico che ha bisogno della Musica.

Questa affermazione apparentemente banale giustifica invece la necessità di compiere quello sforzo (piccolo o grande, a nostra scelta) che bisogna fare per accostarsi alle musiche di livello artistico alto e altissimo.

Ho sempre pensato che quello sforzo iniziale, mutuato da una curiosità intellettuale ed emotiva al tempo stesso, ripaghi abbondantemente l’ascoltatore. Col tempo ci si può avvicinare ad organismi musicali sempre più complessi con fatica inversamente proporzionale a quanto ci viene donato. Più che un’abitudine si tratta di creare una consuetudine, una familiarità con certe musiche.

Quindi la Musica, come il Vero, non ha bisogno della nostra attenzione e non deve abbassarsi al grado zero dei gusti dell’uomo massa. La Musica però non si nega a chi vorrà penetrarla nella sua essenza, offrendosi nella sua complessità e finalmente nella sua semplicità di materiale sonoro eccitante per i sensi e per la ragione. Contemporaneamente.

Ripensando alla Camera verde dell’omonimo film di Truffaut (La Chambre Verte, 1978), anche noi direttori artistici della nostra privata rassegna di concerti domestici creiamo un ambiente (tutto mentale e spirituale, la nostra camera verde) dove alloggiare le musiche dei ricordi, quelle del museo musicale, quello delle nostre opere ideali e così via.

La mia è molto affollata, è quasi un labirinto, una babele. È forse indispensabile avere in casa una mole esagerata di musiche accumulate nel corso degli anni, ascoltarle a lungo e passare oltre, dimenticarsene, fingere di non sapere se nella discoteca questo o quel titolo c’è, eccetera.

Questo labirinto di composizioni (registrate) aiuta a rendere più verosimile l’ascolto di quell’esecuzione fissata una volta per tutte e non soggetta al divenire.

Ripescare un titolo che non si ascolta da molto tempo o che non ricordavamo di avere dà la possibilità a tutti di noi di ripensare l’ascolto anche di un’interpretazione inchiodata inevitabilmente al supporto e alla data di registrazione, come se fosse la prima volta.

Dal labirinto in cui spesso ci aggiriamo come se fossimo bendati, alcuni titoli emergono con frequenza: sono i punti di riferimento del nostro gusto musicale, delle musiche per noi imprescindibili. Romanticamente affiorano certe musiche del Destino. Una Schicksalsmusik che periodicamente ci attira e che sempre nuova si presenta alla nostra percezione e al nostro desiderio.

Tra queste Musica Ricercata (1951-1953) di Gyorgy Ligeti.

Opera per pianoforte, di una bellezza devastante (e che non piacque al regime ungherese di quell’epoca, che giudicò decadente l’uso dell’intervallo di seconda minore nel decimo degli undici pezzi che compongono questa suite).

Ed ancora, più o meno dalle stesse parti, l’opera tarda di Franco Donatoni o i Concerti per Orchestra di Goffredo Petrassi. Per non parlare dell’indimenticabile ultima stagione di Luigi Nono, che culmina nel Prometeo, l’uomo che aveva donato agli uomini l’intelligenza e la memoria.

III

Dal labirinto, una volta entrati, non si esce più. Anche se smettessimo di ascoltare musica, storditi dalla vita e dalle mille anse di questo percorso senza fine, la Musica sopravviverà in noi, nella nostra memoria, finché durerà l’esperienza sensibile della nostra esistenza.

POST

Sono grato alla ragazza staccatasi dal suo gruppo per dedicarsi a qualcosa che a noi tutti si addiceva. Sono grato alla ragazza che ha sollevato con grazia la testa per attingere fiato per il suo canto, nell’aria brumosa di mezzanotte.

[Botho Strauss, Paare, Passanten, 1981, trad. italiana Coppie, Passanti, Guanda, 1984]

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