I

È veramente duro parlare ed interrogarsi sulla musica (nuova? contemporanea? ecc.) in questi giorni che vedono la lotta contro il carovita in alcuni paesi dell’Africa magrebina, con relativi morti e feriti.

Si potrebbe obiettare che l’umanità ha sempre avuto problemi di ogni tipo e non per questo si è smesso di fare e pensare alla musica e alle arti in genere.

Certamente è così. Se poi pensiamo alle opere composte da Viktor Ullmann (1898-1944) nel campo di Theresienstadt dove i nazisti creavano orchestre sinfoniche di ebrei prima del definitivo viaggio per Auschwitz.

Ullmann aveva studiato con Arnold Schönberg tra il 1918 e il ’19 ed era stato assistente di Alexandr von Zemlinsky a Praga.
Nel campo di Theresienstadt riuscì a comporre e a organizzare concerti, ma le prove di Der Kaiser von Atlantis oder Der Tod dankt ab (L’imperatore di Atlantis o L’abdicazione della morte), iniziate in condizioni disperate nel settembre 1944, a causa delle deportazioni ad Auschwitz di alcuni musicisti partecipanti e delle evidenti allusioni alla situazione politica contenutevi, non giunsero a buon fine, sicché l’opera venne rappresentata solo postuma, a distanza di trentuno anni dalla morte dell’autore, scomparso anch’egli ad Auschwitz nell’ottobre 1944.

Nell’opera l’altoparlante rende noto che i vivi non ridono più e i morenti non muoiono più: è iniziata una grande guerra di tutti contro tutti, proclamata dall’imperatore. Pierrot, incarnazione della vita, disperato perché vede solo l’orrore intorno a sé, vorrebbe morire, ma la morte non glielo permette: si sente strumentalizzata dal conflitto e non fa più morire nessuno, né in guerra, né a causa di malattie. Visto il perdurare della desolazione, la morte acconsente però a far morire di nuovo gli uomini, a condizione che l’imperatore si dichiari d’accordo, cosa che infine avviene.

II

E ancora: uno dei temi caratteristici del nostro cosiddetto vivere moderno è quello che riguarda la molestia alle donne. Senza entrare nello specifico, visto che la terrificante TV ci informa in tempo reale di questa inguaribile tendenza del maschio ad abusare del corpo femminile (lacerando alla fin fine di più l’anima che le membra) nell’inutile tentativo di dimenticare la propria pochezza, torna utile ricordare quel martire dello stalinismo e del conseguente zdanovismo che fu Dimitri Shostakovich (1906-1975) non tanto per la sua vasta ed altissima (qualitativamente) attività di compositore amato/avversato dal regime.
La sua figura è utile, in questo frangente, per introdurre la misconosciuta compositrice Galina Ustvolskaya (1919-2006) che del sommo compositore fu l’allieva prediletta.

Questa musicista, dotata di uno spirito e di una forza uniche (se pensiamo alle difficoltà che una donna doveva in quei tempi affrontare per realizzare una carriera già difficile per il privilegiato (e comunque attenzionato maschio) fu allieva di Shostakovich dal 1939 al 1947, anni difficilissimi, e cioè quelli che inglobavano la II guerra mondiale. Gli anni in cui nella Leningrado assediata dalle truppe della Wermacht il sommo Dimitri componeva la sua Settima Sinfonia. La ragazza, di soli 13 anni più giovane del maestro, a quanto pare gli fece perdere la testa (e da qui le molestie o meglio i tentativi di approccio, anche se Shostakovich era sposato con figli). L’Ustvolskaya abbandonò gli studi con il primo compositore dell’Unione sovietica e la sua musica non portò i segni di sudditanza e di influenza stilistica di Shostakovich.

“Non c’è alcun collegamento fra la mia musica e quella di qualsiasi altro compositore, vivente o morto”, disse di sé e del suo operare.

Come si procurava da vivere dunque la Ustvolskaya? Componendo per anni musica celebrativa per il regime mentre le sue opere significative non passavano il vaglio della censura (perché ostiche e non comunicative) e non venivano eseguite.
Per tutta la sua vita fu tenace, ostinata e solitaria. Compose poco negli anni della maturità e della vecchiaia, solo “quando ne aveva voglia”, non rilasciava interviste e non si concedeva ai media occidentali che conoscevano le sue opere sempre più eseguite, si fa per dire, in Europa.

Morta nel 2006, all’età di ottantasettee anni, il suo nome e il suo sparuto catalogo di circa venticinque opere sono conosciuti in Occidente ma non si può affermare che nella musicista sovietica sia considerata una figura guida della musica contemporanea. Questo perché le sue sinfonie e i suoi concerti per strumento solista peccano di intransigente originalità, non somigliando ad alcuna musica del passato né del presente. Sono opere, quelle sinfonie, di breve durata ma non così brevi come quelle di Webern. Non c’è traccia di avanguardismi alla moda né di serialismi nel linguaggio delle Ustvolskaya. Gli organici a cui affida il compito di materializzare il suo mondo sonoro sono quantomeno singolari, come quello della Sinfonia n. 4 (tromba, tam-tam, pianoforte e voce di contralto) o della Sinfonia n. 5 (oboe, tromba, tuba, violino, percussioni e voce recitante) composte alla fine degli anni ’80 del secolo scorso.

Il canto parlato che quasi sempre è presente nelle sinfonie non ha alcuna parentela con lo sprechgesang e tanto meno con la tradizionale voce recitante in stile teatrale. La voce solista, a cui viene affidato il compito di intonare brevi frammenti di preghiera, tende a cantilenare cupamente il testo fino ad annullarne la valenza religiosa.

Il mondo sinfonico della Ustvolskaya si nutre di un che di liturgico o, meglio, di processionale. La processione dei suoni, nello svolgimento temporale, è simile ad un corteo di pellegrini che gira in tondo perché è spinto dalla necessità di seguire, pregando, l’icona religiosa ma allo stesso tempo sa che non c’è meta né scopo in tutto questo.

La musica della Ustvolskaya è la musica di un’altra dimensione del pensiero musicale.
Parente alla lontana della fissità ieratica di certe opere di Morton Feldman, essa rappresenta la possibilità di essere altrove continuando ostinatamente ad esserci, nel presente e nella storia.

Indicazioni discografiche

Symphonies 2, 3, 4, 5 - G. Ustvolskaya (O. Malov, D. Liss - St. Petersburg Soloists, Upo - Ural Philarmonic Orchestra)

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